L’amicizia con Wilde

 

Walter Sickert strinse anche contatti amichevoli con Oscar Wilde: “Quando Walter Sickert si recò in Francia, nel 1883, per portare all’esposizione parigina il ritratto eseguito da Whistler alla madre, il famoso e affascinante Wilde ospitò per una settimana, all’Hotel Voltaire, il giovane artista”(pag. 309). Wilde era inoltre legato a tutta la famiglia di Sickert: “Oscar Wilde si recò a trovare la signora Sickert. Lei non voleva vedere nessuno. «Ma sicuramente vorrà vedere me» fu la risposta di Wilde, salendo di corsa le scale. Poco più tardi la signora Sickert scoppio a ridere. un suono che la figlia aveva temuto di non poter udire mai più”.

I due amici però si contrapponevano per la diversa concezione di bello: mentre Sickert prendeva in esame per le sue opere la bruttezza, Oscar esaltava il valore della bellezza.

Sickert quando Wilde uscì dal carcere dopo aver scontato i lavori forzati per sodomia, si tenne alla larga dallo scrittore, la cui carriera era ormai a pezzi e la cui salute era compromessa,  per timore di danneggiare la sua reputazione. 

Il nome di Oscar Wilde è strettamente connesso con l’Estetismo, il movimento culturale  nato negli ultimi anni del 1800 in Francia e che si diffuse in Inghilterra proprio grazie a McNeill Whistler, il maestro di Sickert, che portò all’estremo il principio   dell’ ”art for art’sake”, l’arte per l’arte: gli esteti infatti rifiutavano l’idea che l’arte dovesse essere didattica.. Wilde rappresenta la personificazione dell’Estetismo: egli ha costantemente sfidato le convenzioni del suo tempo e condotto uno stravagante stile di vita.

Gli esteti erano affascinati dalla superiorità dell’arte  e il loro scopo supremo era il culto della bellezza. Il bello è l’unica realtà di cui occuparsi. L’artista è colui che può ricevere l’arte e deve perciò perfezionare costantemente le sue impressioni e le sue sensazioni. Inoltre Wilde sostiene che un’artista deve essere libero da ogni legame con la società, libero da sentimenti e da ogni credenza in modo da poter portare le propria arte ad un livello espressivo superiore.  

L’opera che esprime al meglio il credo estetico di Wilde è proprio “The picture of Dorian Gray.

Questo romanzo esalta il valore eterno e assoluto dell’arte, che trionfa su tutte le bruttezze e le bassezze della vita. In questa opera l’autore dichiara che per ottenere l’essenziale distacco dalla vita è necessario inventare, mentire, vestire una maschera. E la maschera è deliberatamente creata da sé stessi, perché è differente dalla natura imperfetta ed è prodotta dall’intelletto, e rappresenta la vera realtà dell’uomo. La maschera lo rende più ricco e gli permette di sentire piacere per ogni esperienza e di giocare con le proprie idee e con il linguaggio. Infatti Wilde in questo romanzo esalta il potere della parola che trasmette un piacere sensuale per la ricchezza e la musicalità delle sfumature. La parola produce nel lettore una forma di sogno e di fantasticheria, che è ciò che prova Dorian quando sente la voce di lord Henry.

In Italia il modello dell’estetismo è rappresentato da Gabriele d’Annunzio.

D’Annunzio a differenza di molti altri scrittori, sembra non avere una storia, un graduale evolversi verso atteggiamenti spirituali e artistici più maturi: sembra che d’un tratto, ancora giovanissimo, giunga alla consapevolezza di sé.. Egli si è creato la maschera dell’esteta, dell’individuo superiore, dalla squisita sensibilità, che rifugge inorridito dalla mediocrità borghese, ma in realtà il culto della bellezza e il “vivere inimitabile” superomistico in cui si rifugia risultano finalizzati dalle esigenze di mercato. Infatti la spettacolarizzazione della sua vita costituisce un abile sfruttamento dei meccanismi d’informazione creati dalla società di massa, e serve a riproporre in  una condizione del tutto mutata, il mito del poeta-vate tramontato con l’avvento della società borghese. Rilanciando tale mito, d’Annunzio rinnova l’idea della poesia come privilegio e come valore assoluto. Con lui però dandismo e pose da vate confluiscono nel divismo: l’ammirazione per il poeta, per le sue stranezze, fa si che la borghesia provinciale italiana proietti su d’Annunzio il proprio desiderio di affermazione e il proprio bisogno di trasgressione.

Per d’Annunzio l’estetismo rappresenta lo sforzo di spiritualizzare la sensualità redimendola nel culto della bellezza e si esprime nella formula “il Verso è tutto”. L’arte è il valore supremo e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori.

Il culto dell'arte, la risoluzione della vita stessa nell'arte, la ricerca del bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto distacco da ogni convenzione morale, il disprezzo per la volgarità del mondo borghese, accomunano l'Andrea Sperelli di D'Annunzio al Dorian Gray di Oscar Wilde e ne fanno la versione Italiana dell'esteta decadente.

Andrea Sperelli, protagonista de “Il Piacere” del 1889 è aristocratico, raffinato, individualista e fa della sua vita un’opera d’arte. Rifiuta la volgarità e la bassezza del mondo moderno, poiché la bellezza e la raffinatezza devono essere raggiunte ad ogni costo, attraverso un processo d’innalzamento sociale al di sopra di tutti. E la corruzione può diventare uno strumento di questo innalzamento.

 Egli è il simbolo dell’aridità morale e del vuoto interiore di un mondo elegante e corrotto, quello dell’aristocrazia e dell’alta borghesia romana di fine secolo; tuttavia d’Annunzio intuendo la crisi dei valori di questo mondo, descrive solo gli aspetti esteriori, rifiutando di comprendere il senso profondo degli avvenimenti che incalzano.

L’autore infatti mette in evidenza gli aspetti negativi di Sperelli: “l’ambiguità, la simulazione, la falsità, l’ipocrisia, tutte le forme di menzogna e della frode nella vita del sentimento, tutte aderivano al suo cuore come un vischio tenace”. D’Annunzio si rende conto dell’intima debolezza della figura dell’esteta e della costruzione ideologica che essa presuppone perché non è in grado di opporsi alla borghesia in ascesa. Egli avverte tutta la fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da forze e conflitti così brutali: il culto della bellezza si trasforma in menzogna.

 

La ricerca del bello si manifesta sempre in periodi di decadenza morale. Anche l’epoca romana ha conosciuto il suo periodo decadenza morale che coincide con l’età di Nerone, profondamente influenzata dal gusto dell’imperatore per l’arte e i piaceri. Fra gli intimi di Nerone, secondo quanto scrive Tacito, vi era un certo Gaio Petronio Arbitro suicidatosi nel 66 d.C. per aver partecipato alla congiura pisoniana del 65.

 Tacito negli Annali (XVI, 18-19) ci offre un’immagine di Petronio molto simile agli esteti di fine Ottocento: “Passava le giornate dormendo, la notte la riservava agli affari e ai piaceri della…Non passava per un volgare crapulone e uno scialacquatore, bensì per un raffinato uomo di mondo.[…]fu ammesso nella ristretta cerchia degli intimi di Nerone, come arbitro di eleganza, al punto che il principe, in quel turbine di piaceri, trovava amabile e raffinato solo ciò che ricevesse approvazione da Petronio.”

Proprio per la sua raffinatezza e il suo gusto estetico, Petronio fu odiato da Tigellino, favorito di Nerone, che vedeva in lui un rivale pericoloso, e lo accusò di essere amico di uno dei capi della congiura di Calpurnio Pisone. Perciò egli a Cuma ricevette l’ordine di uccidersi, ma realizzò con la sua stravaganza un suicidio in grande stile: si fece tagliare le vene dai suoi servi, “poi a capriccio, chiuderle e riaprirle ancora, intrattenendosi con gli amici…Sedette a banchetto, indulse al sonno, perché la sua morte, benché imposta, apparisse accidentale”. E nella sua ultima lettera a Nerone non volle adularlo, come facevano i condannati a morte, ma denunciò la vita scandalosa dell’imperatore, con i nomi dei  suoi amanti e delle sue amanti. Poi distrusse il sigillo perché non venisse usato in qualche intrigo o per calunniare innocenti.